Il titolo della vergogna

Il titolo della vergogna

Chiedere scusa. Non è mai qualcosa di facile. Figuriamoci in questo caso, dove l’imbarazzo è tale che faccio persino fatica a scrivere le parole di questo perdono senza vergognarmi.

Eppure sono qui per chiedere scusa a tutti quanti, chiedere scusa a chiunque si sia sentito offeso per il giornalismo italiano d’oggi. Con un’unica attenuante, per quanto scarna: non è colpa sua.

E’ come uno di quei bambini somari a scuola di cui si dice:

” Ha le capacità, ma non si impegna.”

Io sono un giornalista, si, lo confesso. E quindi sono qui per chiedervi scusa anche per ciò che scrivo, di come spesso mi comporto quando vedo una notizia. Diciamo che questo sfogo, questa presa di coscienza, è collegata ai fatti di Parigi. Nasce dai tragici eventi della notte a cavallo fra il 13 e il 14 novembre 2015.

Come un mio collega di nome Marco Esposito, che scrive per Giornalettismo, ha detto:

” Amici giornalisti, facciamo mea culpa: abbiamo mandato a puttane l’opinione pubblica italiana! ”

E io aggiungo: ” Perché siamo arrivati alla frutta…”

Sangue ancora caldo!

Sangue ancora caldo!

Io vorrei chiedere scusa per tutta la schifezza, il pattume, il marcio, lo squallido a cui abbiamo assistito da venerdì sera in poi. Tutta la disinformazione, il pressappochismo, e la banalità con la quale in Italia abbiamo trattato un argomento così delicato come le morti di Parigi e tutte le conseguenze che ne sono derivate. In particolare un’islamofobia che ha toccato picchi assurdi.

Non che prima non esistesse, ma negli ultimi giorni si è potuto assistere allo squallore più becero. Però non sono qui a chiedere scusa per tutta la merda (scusate la raffinatezza) che si è letta sui social networks, gli sfoghi della gente normale, gli insulti ai musulmani. Non voglio chiedere neanche scusa per gente come Salvini e Gasparri. Hanno detto cose terribili, ma si sapeva che avrebbero fatto così.

” Si sarebbero avventati come sciacalli, quando il sangue era  ancora caldo…”

Io vorrei chiedere scusa a tutti quanti per il giornalismo e in particolare per giornali come Libero che sabato 14 novembre ha pubblicato in prima pagina un titolo come: “Bastardi islamici”.

Un’offesa, un’istigazione all’odio, qualcosa che sta al giornalismo  tanto quanto una meringa sta a un diabetico. 

Il tweet innocente di Belpietro....ah Belpié, ma chi vuoi prendere in giro?

Il tweet innocente di Belpietro….ah Belpié, ma chi vuoi prendere in giro?

Nonostante l’indignazione, la costernazione, i titoloni degli altri giornali, Libero, che non è nuovo a simili provocazioni (non lo è manco nei titoli visto che scrisse un titolo simile dopo l’attentato a Falcone) ha tirato avanti imperterrito. Le spiegazioni di Maurizio Belpietro, direttore di Libero, sono sembrate quasi una presa per il culo, piuttosto che un tentativo di difesa del proprio titolo d’apertura.

In qualsiasi altro paese del mondo, nessuno si sarebbe mai sognato di pubblicare una cosa del genere. Manco i tabloid inglesi che sono puro ciarpame.

Qualcosa che ha violato nettamente il codice deontologico della professione giornalistica. E rimane scioccante come il caro Ordine dei Giornalisti italiani non abbia preso nessun tipo di provvedimento a riguardo della questione. Il mistero rimane fitto….mentre una vocina nella testa mi fa:

” Solo in Italia…”

E il giorno dopo, Libero ha continuato con un altro titolone e una foto che ha lasciato tutti senza parole. L’interno del teatro

Un altro capolavoro del giornalismo...

Un altro capolavoro del giornalismo…

Bataclan di Parigi, luogo della carneficina più tremenda di venerdì 13 con 84 morti, con una panoramica senza alcuna censura dall’alto che mostrava in bella vista i cadaveri delle vittime e il sangue dovunque. Agghiacciante.

Anche il Fatto Quotidiano ha pubblicato la stessa immagine, ma almeno loro hanno avuto la decenza di “pixellarla”.  Ah, dimenticavo: la foto non si sa nemmeno se sia vera oppure no, in quanto la fonte è rimasta anonima, ma questo a nessuno ha importato. 

Tutti l’hanno presa e data in pasto ai lettori come fosse un macabro bocconcino.

Ma Libero e la sua “professionale” redazione non è l’unico scempio. E non è l’unico simbolo del giornalismo italiano d’oggi. Forse di una parte, forse è l’esempio più appariscente, ma ci sono tante altre fonti che non hanno toccato il fondo come la testata di Belpietro, eppure una bella figura di certo non l’hanno fatta.

Persino giornali come la Stampa o Repubblica (sono due esempi a caso, ma la lista sarebbe lunga) hanno lasciato campo alla facile disinformazione. Ok l’emozione, la confusione, la poca chiarezza, le notizie che corrono, l’orario della notte, ma anche nei giorni successivi non sono mancati i casi in cui venivano date notizie non confermate, rumors, voci, mezze verità. 

Della serie:

” Meglio dare la notizia subito (anche se non verificata), piuttosto che darla in ritardo, o magari non darla, tanto chi mai verrà a dirci qualcosa? “

Il vizio di Libero non è una novità...

Il vizio di Libero non è una novità…

Dalle foto false alle notizie false. Ne abbiamo viste di tutti i colori. Dalla notizia dei poliziotti uccisi fino alla presunta marcia di Berlino. Per non parlare della presunta Seat con a bordo l’ottavo terrorista che sembrava avesse varcato la frontiera di Ventimiglia. Se ne è parlato tutto il giorno e la gente persino a Firenze credeva di aver visto il fuggitivo islamico.

Nonostante i tentativi, anche volenterosi (alcune fonti si sono comportate veramente bene, come il Post, Linkiesta e TPI), io voglio chiedere scusa a tutti per il giornalismo italiano.

Per quello che siamo diventati. Per la nostra sete di click, visualizzazioni, guadagni, numeri che ci ha portato a preferire la disinformazione all’informazione vera. Chiedo scusa per l’essere stati approssimativi.

Chiedo scusa per il fatto che abbiamo mandato a farsi benedire quella che si chiama l’etica professionale. Chiedo scusa per tutto.

E vivendo e lavorando come giornalista negli Stati Uniti, credetemi: solo in Italia non sappiamo più cosa sia.

I mie colleghi americani guardavano le testate italiane, vedevano i titoli di Libero e mi chiedevano sconcertati:

“Ma questo è il giornalismo italiano?”

Io non sapevo cosa rispondergli…

Come già detto, chiedo scusa e non incolpo le persone, i lettori, gli italiani che hanno completamente perso la fiducia nell’informazione “ufficiale”. Quella che dovrebbe essere rigorosa e seria. E non c’è da stupirsi se oggi la gente preferisce credere al peggior pattume della rete, a blog e siti fantoccio che pubblicano notizie categoricamente faziose, complottiste o false per fare soldi. Non c’è da stupirsi se crediamo che i vaccini rendano autistici e che le scie chimiche siano una minaccia concreta.

E’ colpa di noi giornalisti, che ci siamo arresi.

E siamo stati i primi ad abbandonare la qualità dell’informazione in favore della quantità. Abbiamo mandato in malora l’opinione pubblica per rincorrere chissà cosa. Forse la nostra stessa sopravvivenza. Perché va detto che se non guadagni, non si campa. E questa, credetemi, è l’ingiustizia più grande. Perché corrompe il giornalismo e ci porta a compromessi, a ricercare mezzucci, a postare foto di gattini e video buffi anche sulle testate più serie.

Lo si fa per non chiudere baracca e burattini, molto spesso. 

A ogni modo,  concludo questo mio vano chiedere venia, citando Barbara D’Urso e il ruolo “d’informazione” che ha avuto il suo programma “Pomeriggio 5” su Canale 5 nel raccontare le stragi di Parigi. Qualcosa di scandaloso. Vittimismo e lucro sul dolore delle persone, spacciandolo per giornalismo.

Questa non è informazione, e la scelta di Mediaset di affidare alla D’Urso (che manco è giornalista) la copertura mediatica della vicenda, ci fa capire quale sia la condizione del giornalismo italiano al giorno d’oggi.

Io chiedo scusa a tutti. Ma tutti i giornalisti dovrebbero essere i primi a fare mea culpa e a preoccuparsi.

Preoccuparsi sul serio….