Una goccia sul viso. Dalla fronte fin dentro la bocca.
Il sapore di gomma.
Lo riconosceva.
Era il sapore della brina che si formava su quella putrida ruota.
La goccia era gelida, una stilettata in fronte, ma almeno era di nuovo sveglio.
Dormiva.
Doveva essere svenuto, nonostante avesse tentanto fino all’ultimo di rimanere cosciente.
Eppure non era morto, era ancora vivo.
Sentiva freddo e aveva fame, quando un rumore lo terrorizzò: sentiva delle voci greche, provenienti da fuori il camion, urlare contro un tizio, probabilmente il camionista, che rispondeva in turco.
Sembravano cane e gatto, ma d’altronde i turchi con i greci non avevano mai avuto rapporti idilliaci.
Era l’ispezione del carico prima dell’imbarco. Dunque, il fatidico momento era finalmente arrivato.
I greci avevano pesanti anfibi che facevano un gran baccano sulle lamine del rimorchio, torce accecanti, fucili a tracollo e dei cani al guinzaglio che ispezionavano la merce: Hajar non aveva mai incontrato, prima di quel momento, un controllo così approfondito.
I cani annusavano dappertutto, cercavano, sentivano la sua presenza, quando uno di loro si soffermò sopra la ruota, aveva notato l’odore di Hajar.
Era spacciato. Lo avrebbero trovato sicuramente e il suo sogno sarebbe finito lì.
Poi qualcosa di strano successe: un poliziotto greco scosto la ruota e vide Hajar, lo fisso negli occhi, notò qualcosa nel suo sguardo, forse la disperazione e la paura e non disse niente. Abbassò nuovamente la ruota, urlo qualcosa al collega e se ne andò via.
Il rimorchio venne chiuso e il camion fatto imbarcare sul traghetto. Era incredibilmente salvo.
Anche dopo molti anni, Hajar continuò a domandarsi il perché di quel gesto, di quel poliziotto greco che, molto probabilmente, gli aveva salvato la vita. Chi era? Un sostenitore dei clandestini? Un uomo stanco di fare il cane da guardia? Oppure semplicemente una persona che ne aveva visto di fronte a sé un’altra, con la disperazione negli occhi? Hajar non riuscì mai a darsi una risposta, ma doveva essere profondamente debitore di quell’uomo.
Lo aveva risparmiato.
Il traghetto partì la notte e il mattino dopo era già approdato al porto di Bari.
Hajar era in Italia. Hajar era arrivato in paradiso.
Tre giorni di viaggio ininterrotto ma, alla fine, ce l’aveva fatta. Era arrivato a destinazione. 
Tutte le sofferenze erano state ripagate, e, nonostante provasse nostalgia per sua madre e i suoi fratelli, Hajar era finalmente felice.
Perciò voleva uscire, affacciarsi dal rimorchio e vedere quanto fosse bella l’Italia, voleva respirare quell’aria, assaporare il caldo tepore del sole italiano, eppure qualcosa glielo impediva: era bloccato.
La ruota si era incastrata, probabilmente a causa del freddo della notte prima e impediva ad Hajar di uscire fuori.
L’aria passava a malapena ma Hajar non lo aveva notato, era troppo stanco per potersene accorgere e tra i rumori del motore, i fumi di scappamento e la paura, non si era reso conto del fatto che fosse rimasto incastrato. Non aveva manco le energie per far forza sulla ruota né la voce per gridare aiuto.
Proprio sul più bello, dopo tutto quello che aveva passato, dopo tutto quel viaggio, ora stava soffocando.
Sarebbe morto in terra italiana.  Che ironia!!!
A questo punto, avrebbe preferito morire in Iraq….

Perse conoscenza.
– “Ehi Paolo, vien aca!!!”
– “Cosa vuoi, Costanzo? Il camion è vuot, imma ampress. Non perdere tempo ancor!!!
– “Ma vien aca!!! Guarda la ruot, viene fuori una puzza da schifo!!!”
– “Sara qualche tuopo!!”
-” Nun scassare la minchia!!! Vieni qui e aiutami!!!”
I due ragazzi sollevarono la ruota con l’aiuto di un piede di porco e rimasero allibiti. Avevano rinvenuto il corpo di un clandestino morto.
Lo toccarono, gli sentirono il polso: era caldo.
Hajar era ancora vivo.
Quando riprese conoscenza, Hajar vide una ragazza tutta vestita di bianco che gli stava cambiando qualcosa a lato del suo letto. Cosa era? Chi era?
La ragazza doveva essere un angelo. Che bello!!! Era finito in paradiso, tutto sommato.
Notava quel filo trasparente che partiva da una ampolla sospesa sopra di lui e terminava nel suo braccio. Lo osservava stupito e si domandava cosa fosse.
Si sentiva confuso ma sereno, si sentiva bene. Tutta la fame,la sete, la stanchezza erano all’improvviso scomparse.Come se non fosse mai successo niente.
Avrebbe solo voluto dormire per una settimana intera.
Poi la ragazza gli parlo, era una infermiera del Policlinico di Salerno che gli chiese: “Da dove vieni, ragazzino?”
Hajar non capiva neanche una parola di italiano, si guardò un attimo intorno e poi le rispose d’istinto, senza neanche pensarci, senza sapere neanche perché: ” Iraq….”
La ragazza lo guardò, gli fece un grande sorriso e gli rispose: 

– “Ah si?  Beh……allora ragazzino………Benvenuto in Italia!!!…Ti troverai bene.”
FINE
IACOPO DUEMONDI LUZI