Il giorno del primo viaggio fuori città finalmente è arrivato.

Rotta per Duhok, città a nord di Erbil, dove incontrerò Bakhshan Aziz, la signora da intervistare per avere un quadro generale della situazione sanitaria curda e irachena e per comprendere quando il governo italiano abbia contribuito alla sua crescita e sviluppo.

Partiamo alle otto del mattino, poiché Duhok è soltanto a 168 kmda Erbil, ma le strade sono un disastro e gli automobilisti iracheni una vera minaccia. 
Presto capirò perché.

Certo, potrei passare per Mosul e impiegarci solo un’ora, ma è troppo pericoloso e preferisco evitare.
Il mio “driver” è un curdo che parla italiano quindi il viaggio procede abbastanza tranquillamente fino a Duhojk tra chiacchierate riguardanti la sua vita, il suo lavoro, il suo passato in Italia e la sua famiglia.

E’ una persona estremamente interessante ma, come mi ha detto l’altro giorno la mia amica Shireen, qui in Iraq tutti hanno una storia interessante da testimoniare. 
E’ vero, confermo.

Arriviamo verso le 11:00 a Duhok e, appena arrivati di fronte alla Ong della sig.ra Bakshan, veniamo accolti con tutti gli onori e i riguardi della casa: siamo degli ospiti speciali. 
E’ il venerdì di festa, in pratica la nostra domenica, ma sono tutti presenti e c’è addirittura un fotografo chiamato per immortalare l’evento.

Rimango impressionato, quasi quasi mi sento importante….

Dopo un breve giro della struttura, inizio ad intervistare la sig.ra Bakshan Aziz: è la fondatrice, nonché direttrice, della “Heevie Nazdar for children”, una organizzazione curda no-profit, fondata nel 1991, che cura e opera bambini afflitti da problemi cardiaci, prevalentemente, e altre malattie, come la Talassemia.

Fin da subito, mi accorgo di avere di fronte una grande donna.

Dopo aver vissuto 15 anni in Italia, la sig.ra Bakshan è tornata in Iraq e, partendo da niente, ha fondato e fatto diventare importante la sua Ong, un’organizzazione che ha curato, in tutti questi anni, più di 7123 pazienti e che ha portato il tasso di mortalità infantile, a causa di problemi cardiaci, quasi vicino lo 0%.

I dati sono impressionanti.

Nonostante la mancanza di attrezzature, ospedali e medici adeguati, questa donna ha quasi compiuto un mezzo miracolo, ma nella sua lotta per salvare questi bambini non è stata sola: una grossa mano gli è stata data dal nostro beneamato e, tanto discusso, Governo italiano.

L’Italia è stata la prima a giungere in Iraq e nel Kurdistan per delle missioni umanitarie nel lontano 1992 e il suo contributo alla crescita sanitaria della nazione è stata fondamentale, prima curando in Italia le persone afflitte da malattie, in gran parte di origine cardiaca,poiché le strutture in Iraq erano fatiscenti e quasi inesistenti e poi, in seguito, inviando direttamente personale altamente qualificato in Iraq per curare i pazienti e insegnare ai dottori locali a fronteggiare e curare simili malattie.
In Iraq, nel corso degli anni, sono venuti con i loro staff medici, e senza pretendere un centesimo, eminenti primari italiani di chirurgia e urologia come Alessandro Frigiola e Giovanni di Maggio, che hanno contribuito sensibilmente alla causa, anche grazie agli ottimi rapporti tra il governo dell’Iraq, del Kurdistan e quello Italiano.

La rivelazione mi lascia basito: nessuno avrebbe mai potuto immaginare un impegno così profondo e articolato dell’Italia nello sviluppare la sanità irachena e, appoggiandosi alla Heevie Nazdar for Children, i risultati ottenuti sono stati incredibili.

Concludo con una riflessione: forse noi italiani saremo gli ultimi quando si tratta di fare affari in un paese, ma siamo sempre stati i primi ad arrivare quando c’era da fare e aiutare a livello umanitario. 
E questo vale mille volte di più.

Terminata l’intervista, andiamo a pranzo e nel pomeriggio finalmente posso tornare ad Erbil ma, prima di ripartire, la signora decide di portarmi sulla montagna alle spalle di Duhok, dove gli iracheni del Kurdistan sono soliti andare a fare picnic. 
Chi l’avrebbe mai detto? In una nazione così pericolosa e ritenuta a rischio da tutti quanti in Italia, delle normali persone trovano il tempo per andare a fare dei picnic…….
Qualche dubbio mi sorge. Forse è giunto il momento che la gente inizi a ricredersi, riguardo l’Iraq. 

Non si può fare di tutta l’erba  un fascio.
Lungo il viaggio di ritorno succede di tutto e assisto a spettacoli incredibili: otto bambini seduti sul retro di un pick-up che ballano durante un acquazzone come se niente fosse, macchine che guidano come folli, camion che non rispettano la precedenza, buche grandi come un braccio lungo la strada, slalom folli per evitare ostacoli e pietre e, per concludere, una macchina che invade la nostra corsia e ci viene contro.

Fortuna i riflessi del mio autista o a quest’ora sarei morto.

Finalmente ad Erbil. Dio mio!!! Grazie!!! Sono vivo!!!

La serata si conclude con l’ennesima cena in compagnia di Shireen e famiglia che mi impediscono, per la seconda volta, di pagare la cena dicendomi: “Tu sei nostro ospite, è come se venissi a casa nostra…”

Sono le loro tradizioni, la loro educazione, i loro valori. Incredibile.

Scopro come Erbil di notte sia una città di soli uomini, in quanto le donne la sera non escono di casa, poiché, se andassero a ballare o a bere in un pub ( l’alcool è proibito dal Corano), sarebbero etichettate come ragazze dai facili costumi, e, di conseguenza, mentre agli uomini è concesso tutto e di più, il ruolo della donna qui in Iraq è molto sottovalutato e relegato a quello di puro e semplice “custode del focolare casalingo e della famiglia”.

Ovviamente i tempi stanno cambiando e negli occhi di Shireen posso notare ben altra luce.

E’ una speranza. Ma ci vorrà tempo.
Imparo qualche parola di arabo e scopro precetti e ragioni dell’Islamismo a me ignoti che, però, non riescono a persuadermi: non potrei mai essere un buon mussulmano, perché  ahimè, non riuscirei a stare un mese senza mangiare di giorno e pregare 5 volte a giorno sarebbe impossibile per uno sconclusionato scavezzacollo come me.

Nonostante ciò la serata si conclude in maniera ottima e, finalmente in hotel, chiedo a Shireen cosa fare per potermi sdebitare con lei.
Mi guarda, mi sorride e mi risponde semplicemente così: 
“Mi basta che tu sia felice durante il tuo viaggio, è questo ciò che conta…”.