Give me a Frappuccino, baby!!!!
Ecco il motto della mattinata di oggi, in quanto dovete sapere, cari lettori, che il concetto di colazione inclusa nel prezzo del pernottamento, qui in America, è un concetto poco conosciuto e, di conseguenza, poco praticato, a meno che non si paghino esose quantità di denaro come 12,95 $ per una colazione da schifo.
Soluzione? Starbucks!!!
Giuro, in Italia non ne esisterà manco uno, ma qui negli States ad ogni angolo lo si può trovare.
E non sarà il massimo, ma la sua dose di caffeina di prima mattina qualche effetto lo fa.
Oggi è iniziato il nostro study tour negli U.s.a e, nonostante il jet-lag ci abbia buttato giù dal letto, chi alle sei, chi alle quattro, chi alle sette e mezza come il sottoscritto, un po’ assonati abbiamo incominciato la giornata con un incontro all’agenzia di comunicazione Weber and Sandwick.
Sono persone in gamba, gente abituata a trattare con clienti dei più disparati generi come Ong, aziende di ogni tipo e sopratutto il governo americano.
Fiore all’occhiello ma, allo stesso tempo, croce dell’agenzia è la campagna per la previdenza sanitaria portata avanti dall’attuale presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
I ragazzi che ci accolgono sono molto gentili e ci dimostrano, rispondendo alle nostre domande, di sapere il fatto loro e di avere molta più esperienza e capacità di quanto la loro apparenza lascerebbe presumere.
La giornata continua con a sfida più ardua dell’intero giorno: un mega hamburger con bacon, due strati di cipolla, salse, verdura e pomodori insieme ad un mastodontico contorno di patate.
La fame fa miracoli e il panino scompare in quattro e quattro otto, ma il sottoscritto che vi sta scrivendo in questo momento, vi parla con nello stomaco ancora l’hamburger, in piena digestione.
Quando si dice: un mattone….
Nel pomeriggio ci rechiamo in prossimità dell’U.s Capitol, la sede del congresso americano, dove abbiamo un appuntamento con un lobbista italo-americano di nome Fabiani, che ci accoglie per tenere una lezione sul lobbismo e la politica americana.
In pratica, i lobbisti americani sono degli agenti incaricati dalle aziende, da governi stranieri o da associazioni internazionali per convincere il governo americano ad approvare delle leggi, concedere dei finanziamenti, tutelare determinate categorie, rispettare specifici diritti.
Che tradotto significherebbe: baracche e burattini, corbezzoli e ghirighori per infinocchiare il governo, usando ogni mezzo, affinché faccia quello che i clienti dei lobbisti vogliano che egli faccia.
Ovviamente tutto sotto la più totale legalità, pena l’esilio dall’albo dei lobbisti per chiunque provasse a corrompere con regali e denaro i vari membri del Congresso.
Una lezione interessante ma devo ammettere, per mia fortuna o meno, che non vorrò mai essere un lobbista.
A me in fondo piace guardarmi la mattina allo specchio…..
La giornata prosegue, libera dagli impegni istituzionali con la Iulm, con una maratona di tre ore fra i vari monumenti del National Mall: sede del congresso, libreria del congresso, l’Obelisco, il monumento a Lincoln e per finire la Casa Bianca.
Storica la frase davanti la White House: “Michelle, butta la pasta!!!”
Tutto è protetto, tutto è controllato. Le strade sono enormi ma di macchine in giro ce ne sono ben poche, ovunque si guardi è possibile osservare un monumento, oppure un museo oppure un ufficio governativo.
I bus sono bianchi, i taxi gialli e tutta sa estremamente di pacchiano, mito americano e profondo patriottismo.
Bandiere a stelle e strisce ovunque.
Ma, forse, questo è solo un bene se paragonato all’Italia, dove gli italiani diventano patrioti in concomitanza di rassegne internazionali di calcio estive come il Mondiale o l’Europeo.
In fondo, essere americani  è qualcosa che fa la differenza.
Arriviamo alla sera completamente morti e, nonostante una capatina a Georgetown, presumibilmente il quartiere più vivo della città, constatiamo una amara verità: Washington è una città morta.
Sede istituzionale, città del governo, cuore del potere ma ben distante dal resto degli Stati Uniti: locali vuoti, pub che chiudono presto, nessuna discoteca, ristoranti che restano aperti fino a mezzanotte.
Forse avremmo sbagliato posti, magari non conosceremo i quartieri giusti dove andare, ma l’andazzo è questo.
Peccato.
Fa strano essere a letto già a mezzanotte ma, complice il jet-lag, la cosa non mi dispiace più di tanto.
Siamo giovani, siamo pieni di voglia, ma la stanchezza la sentono proprio tutti.
Domani sarà un altro giorno bello carico, ma in mente ho solo una voglia: godermi a pieno questo sogno a stelle e strisce della durata di una settimana, rimpiangendo l’opportunità persa del Ips, ma sperando di poter venire un giorno a vivere qui, provando ad inseguire questo sogno per molto molto più tempo.
E’ solo un’idea, ma da qualcosa si dovrà pur partire, no?